#DAILEGGIAMOICLASSICI: Alice nel Paese delle Meraviglie
Galeotta fu la gita e chi la fece
Nel luglio del 1862 il reverendo Charles Dogson, in arte Lewis Carroll, si accomodò in una barchetta per fare una gita sul Tamigi. A quell’epoca, il fiume era il luogo di villeggiatura per eccellenza degli inglesi, percorso da innumerevoli imbarcazioni da diporto e commerciali che spesso intasavano il trasporto fluviale. Del resto, solo navigando lungo le acque calme del Tamigi era possibile ammirare gli splendidi paesaggi dell’Inghilterra rurale, rallegrati da pascoli, paesini caratteristici, colline, alberi, fiori e magnifiche residenze nobiliari. In quell’epoca le strade non erano facilmente praticabili nonostante il forte sviluppo economico del Paese e il fiume rappresentava la strada più comoda e sicura per viaggiare.
Insieme a Lewis Carroll, nella barca si accomodarono tre bambine, figlie di un suo amico, e il reverendo, che di mestiere insegnava matematica all’università di Oxford, improvvisò per loro un sogno intitolato Alice nel Paese delle Meraviglie. Un sogno bislacco, la cui protagonista era una delle bambine che si chiamava appunto Alice, aveva circa dieci anni ed era molto amata dallo scrittore.
Non era la prima volta che Carroll si cimentava nell’invenzione di buffi racconti, ma questa storia godette di una fortuna internazionale. La gita in barca sul placido fiume, fra prati e boschi risplendenti nel rigoglio estivo, ebbe come risultato la nascita di un classico della letteratura per l’infanzia che in seguito l’autore mise per iscritto, illustrò e pubblicò con il titolo Alice’s Adventures Under Ground. L’opera conseguì subito un grande successo e Carroll vendette tutte le copie pubblicate a proprie spese. Poi continuò a vendere, edizione dopo edizione: il libro con il titolo ora conosciuto appassionò i lettori grandi e piccini, fu tradotto in moltissime lingue anche se le traduzioni non rendevano il profluvio di doppi sensi, allusioni, giochi di parole presenti nel racconto originale.
Chissà se è vero o se si tratta di un altro gioco di specchi di quel matematico fantastico che metteva in giro divertenti dicerie, ma si racconta che perfino la regina Vittoria si innamorò del libro tanto che chiese a Carroll di mandargli un altro dei suoi testi. Lui le inviò, con tanto di autografo, un … trattato di matematica.
La società inglese era allora fortemente classista e i bambini, specie quelli delle classi più alte, erano soggetti a regole molto rigide. Mentre i bambini poveri andavano a lavorare nelle fabbriche fin dalla più tenera età oppure soffrivano la fame in case malsane e fatiscenti (per farsi un’idea, basta leggere i romanzi di Dickens, contemporaneo di Carroll), i privilegiati subivano un’educazione ferrea e inibitrice. Probabilmente, se glielo avessimo chiesto, non si sarebbero considerati dei privilegiati, ma dei prigionieri. Quelli che dovevano essere i comportamenti dei piccoli, regolati in modo assurdo e asfissiante, si ripercuotevano sulla letteratura a loro destinata per cui, quando apparve la storia di Alice, fu come una boccata d’aria fresca, un puro divertimento in cui si canzonava e si parodiava il sistema educativo inglese.
Il Paese delle Meraviglie è un mondo sottosopra, in cui tutto può accadere, un territorio sregolato, folle e misterioso dove gli animali, come i psicopompi del mito, acquistano un proprio senno e sentimento. Surreali e indifferenti alle apparenze e all’apparire, i personaggi del racconto si esprimono con indovinelli, appaiono e scompaiono in modo arbitrario, sono ambigui, sorridenti e misteriosi come il gatto del Cheshire. Chissà poi se il famosissimo gatto che sorride, appare e scompare, non sia la trasfigurazione dell’autore stesso.
Carroll era una specie di folletto timido e balbuziente; un po’ sbilenco nella figura e nello sguardo, era perfino duro d’orecchie.
Gli piacevano i bambini, ma non poteva avere figli perché, per intraprendere la carriera accademica, fu costretto a votarsi al celibato. Insegnò matematica per tutta la vita, e nello stesso tempo era un creativo, un inventore di giochi di prestigio e di parole, un eterno bambino che amava il croquet, il biliardo, gli scacchi, gli enigmi.
Fu uno dei primi ad appassionarsi alla fotografia, arte da poco inventata, e divenne bravissimo nei ritratti. Fotografò spesso anche Alice e le sue sorelle. Non è difficile immaginarlo nella barchetta lungo il Tamigi, alle prese con tre bambine vivaci, presto annoiate dal bel paesaggio e desiderose di novità.
Ci facilita il compito lui stesso, nell’introduzione alla storia, che si avvale di un componimento in rima:
Nel pomeriggio d’oro
galleggiamo beati;
abbiamo entrambi i remi
alle bimbe affidati,
alle loro manine
per governare i fati.
Crudeli le tre bimbe
nell’ora calda e lenta
pretendono una storia
da una testa sonnolenta …
Una storia appunto intervallata da filastrocche irresistibili basate sulle tradizionali nursery rhymes, l’insieme di poesiole popolari fatto di nonsense, scioglilingua, indovinelli, a cui Carroll si ispira con estrema libertà ricavandone rime e giochi di parole scoppiettanti e imprevedibili.
E’ da considerare come Alice nel Paese delle Meraviglie non sia solo un divertente e esilarante intrattenimento per bambini, una ridda di strani fatti insensati, in quanto divenne anche un raffinato racconto per adulti. Leggendolo si ritrova l’infanzia perduta, la gioia di ciò che sta all’inizio, che è appena nato, fresco e perfetto. Il suo fascino dura intatto in un tempo che ha logorato e sprofondato nell’oblio molte altre storie, innumerevoli altri libri. Questa permanenza dimostra quanto le vicende della bambina sprofondata nel sottosuolo tocchino corde segrete nell’inconscio dei lettori.
Alice è seduta sul prato accanto alla sorella che sta leggendo un libro. Un libro senza figure e senza dialoghi. A che cosa può servire, si domanda, un libro del genere?
Figure e dialoghi: questa osservazione non ha nessun intento pedagogico, ma riassume la distanza che c’è fra il mondo infantile e quello adulto. In quest’ultimo è assente ciò che fa di una storia una bella storia: le immagini e la socializzazione. La persona si allontana dall’infanzia prendendo le distanze dal dialogo, dal confronto, dai colori e dalle forme, quando legge vuole speculare, imparare, confutare, non esercitare quella facoltà meravigliosa che si chiama fantasia e che spesso gli adulti vorrebbero soffocare nei bambini. La fantasia è libertà, la libertà è creazione pura fuori dagli schemi. I bambini troppo fantasiosi sono visti con sospetto dai grandi.
A un tratto, un coniglio bianco con gli occhi rosa appare correndo attraverso il prato. Non c’è niente di strano in un coniglio, se non che questi indossa un panciotto, ha un orologio nel taschino e si lamenta con parole umane perché è in ritardo. Alice lo segue.
Rincorrere il coniglio bianco è diventato quasi proverbiale. è l’azione immaginaria con cui si amplia la realtà e si sprofonda nel mondo a rovescio. La bambina entra nella tana del coniglio e cade in una buca di cui non si vede il fondo. Il tempo si dilata, la caduta dura giorni, mesi, anni per marcare la distanza tra i due mondi, quello reale e quello fantastico.
Alla fine del tunnel verticale, Alice si ritrova in un vestibolo con tante porte, tutte chiuse. Su un tavolino di vetro c’è una chiave d’oro che apre un uscio così piccino che la bambina può solo infilarci la testa. Oltre la porticina, c’è un giardino magnifico pieno di fiori e di fontane. Come raggiungerlo? Fa parte dei sogni ricorrenti ritrovarsi in un tunnel molto stretto, come se l’inconscio ricordasse il momento drammatico dell’uscita dal corpo materno, della nascita. Ed è una nascita all’incontrario che attende Alice oltre l’usciolo. Per entrare deve rimpicciolire con l’aiuto del liquido contenuto in una misteriosa bottiglina.
Alice rimpicciolisce, poi cresce a dismisura, si deforma, il suo collo si allunga: bibite, biscottini, funghi, tutto ciò che mangia laggiù ha il potere di cambiarla.
Nel suo procedere dentro al Paese delle Meraviglie, la bambina incontra una serie di personaggi stravaganti e insensati; persone e animali, creature composite. “Siamo tutti pazzi” afferma il gatto del Cheshire e in effetti, se non si sta al gioco, si ha davvero l’impressione di aver perduto la testa.
Tuttavia non bisogna farsi ingannare: il mondo all’incontrario è come uno specchio deformante che riflette il mondo reale; la Lepre Marzolina e il Cappellaio matto e il Ghiro ripetono l’imprescindibile rito inglese delle cinque prendendo il tè e la Regina di cuori ordina che si giochi una partita di cricket, una delle attività sportive più praticate dagli inglesi del XIX secolo, ma le palle sono istrici vivi e le mazze fenicotteri. Le carte da gioco agiscono come esseri viventi, il Fante di cuori ruba i pasticcini. Il cricket è in realtà un gioco un po’ pazzo e probabilmente l’austera Regina Vittoria si sarà riconosciuta nella rigorosa etichetta della monarchia inglese e nella propria preponderanza sull’affabile re, suo coniuge. Sarà anche per questa ragione che si entusiasmò così tanto per il racconto di Carroll? Un racconto che la liberava per un po’ dalle pastoie del suo ruolo tremendamente impegnativo. In personaggi sono caricaturali, ma contengono una parte di verità: per questa ragione il libro avvince il lettore e collega il mondo fantastico a quello reale.
Può sembrare un artificio banale la conclusione della storia che la riduce a un semplice sogno insensato. Altri autori avrebbero rifuggito da un simile escamotage troppo scontato, da una spiegazione che colloca il Paese delle Meraviglie in un delirio onirico. Tuttavia il sogno di Alice appartiene al mondo archetipico, è uno di quei sogni che si fanno poche volte nella vita, la preparazione al passaggio in un altro mondo, in un’altra età. Nelle culture tradizionali di ogni dove, le narrazioni sorreggono l’iniziazione all’età adulta e poi alla vecchiaia e infine al grande passaggio verso un’altra vita. Ne rimangono tracce nella mente di ciascuno di noi, nelle storie antiche e in quelle di alcuni autori più o meno contemporanei a Carroll: Barrie, Collodi, Andersen, Rodari, Dahl. Vladimir Propp ne diede contezza con le sue ricerche e i suoi saggi sulle fiabe russe.
Se ritorniamo sulla barchetta dondolante come una culla nel Tamigi, in un lontano giugno del 1862, possiamo immaginare il matematico scrittore intento a scuotersi dal sonno per accontentare i capricci di tre bambine annoiate. Carroll inizia a narrare, dapprima è un po’ incerto, poi si fa prendere dall’entusiasmo delle sue stesse parole. Le piccole ascoltano con la bocca aperta, senza accorgersene immergono le dita nell’acqua. Ridono, ripetono una filastrocca, interrompono con domande. Sono completamente assorte nel racconto insieme al suo inventore. Possiamo immaginare, adesso, in questo momento, una sorte simile per i nostri bambini? Non è facile farlo. Quando sono annoiati, qualcuno gli allunga un telefonino perché non diano troppo fastidio e si balocchino con giochetti ripetitivi dove la creazione pura, la fantasia, sono banditi.
Ci si augura che i genitori illuminati, i nonni non troppo preoccupati di sembrare giovani, gli educatori attenti, siano moltissimi e siano disponibili a inventare una storia per i figli, per i nipoti, per gli allievi. In mancanza di ciò, si spera che almeno gli adulti leggano ai bambini libri come Alice nel Paese delle Meraviglie e fiabe e classici e storie di tutti i tipi.
Del resto, non a tutti è concesso il dono immaginifico di Carroll, ma il suo libro si può trovare ovunque.
“Alice nel Paese delle Meraviglie” è un classico Raffaello dal catalogo Il Mulino a Vento!
Clicca l’immagine per sfogliare il libro.
Autore
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Paola Valente
Paola Valente vive a Vicenza, ed ha insegnato nella Scuola Primaria. Ha scritto per Raffaello numerosi libri per ragazze e ragazzi, tra cui “La Maestra Tiramisù”, bestseller di collana, in più, tanti racconti dedicati alla Educazione alla Cittadinanza.
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