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#DAILEGGIAMOICLASSICI: Canto di Natale

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La ballata dello Spirito Natalizio.

Da Malthus a Dickens nell’Inghilterra dell’800

La prima metà del 1800 in Inghilterra fu definita l’età dei famelici anni quaranta, l’epoca dell’inizio della rivoluzione industriale. La proliferazione delle industrie spostò la popolazione impoverita dalla campagna alle città. I bambini, a partire dai cinque anni, lavoravano nelle fabbriche senza nessuna tutela e la miseria costringeva la gente a migrare negli Stati Uniti alla ricerca di una vita migliore.
Alla fine del 1700, l’economista Thomas Malthus aveva scritto il Saggio sul Principio della Popolazione in cui asseriva che l’aumento demografico rappresentava l’impoverimento di una nazione per l’impossibilità di avere risorse economiche e alimentari per il mantenimento di tutti. L’assistenza ai poveri, affermava Malthus, era un incentivo all’aumento della popolazione e lo Stato doveva invece disincentivare la riproduzione delle persone povere con mezzi preventivi e repressivi. In poche parole, i poveri dovevano essere eliminati.
Dickens scrisse la sua famosa novella natalizia tenendo ben presente le tesi di Malthus, ma certamente senza approvarne una sola virgola. Infatti, in principio, aveva previsto di stampare un libello, una denuncia delle sofferenze degli ultimi intitolata Appello al popolo d’Inghilterra in difesa dei bambini poveri. Quasi subito però egli si rese conto che una storia natalizia sarebbe stata molto più efficace di qualsiasi denuncia. Nacque così la Ballata di Natale e la figura esemplare dell’anziano Ebenezer Scrooge, il ricco taccagno dal cuore indurito che vive come un pezzente e accumula denaro. Scrooge ha fatto proprie le idee di Malthus e le snocciola ai due signori che, la Vigilia di Natale, entrano nel suo ufficio per sollecitare una donazione a favore dei poveri. Se i poveri muoiono, dichiara freddamente, si riduce l’eccedenza della popolazione.

Scopri la versione di Canto di Natale del Mulino a Vento

Chi non sa piangere non sa neanche ridere

Scrooge è un uomo ricco, ma profondamente infelice. Ha allontanato da sé tutti gli affetti, tutte le persone a cui avrebbe potuto voler bene e dalle quali avrebbe potuto ricevere amore, per coltivare la brama per l’oro. Una passione arida da cui non ricava nessuna felicità come se il suo cuore fosse diventato anch’esso di gelido metallo. Ora si ritrova vecchio, solo e rabbioso, incapace di comprendere come la povera gente, quella che ha a malapena la possibilità di mettere qualcosa in tavola, possa scambiarsi gli auguri di Natale con animo lieto e occhi luminosi. Il suo sguardo infatti si è spento, è diventato unilaterale, vede solo il luccichio sinistro delle monete, guadagnate probabilmente con operazioni senza scrupoli.
Eppure Scrooge è stato bambino e poi un giovane che ha scelto di respingere la fanciulla che lo amava in nome della ricchezza. Ha dimenticato l’infanzia, ha scordato quella donna dolce e affettuosa, ma lo Spettro dei Natali trascorsi gli ravviva la memoria e lo scaglia, suo malgrado, nel passato. Un passato in cui egli era un bambino solitario e abbandonato che si consolava leggendo le Mille e una notte e che aveva una sorella amorevole, l’unica che lo coccolava.
Il primo passo per un cambiamento interiore è quello che lo conduce a fare i conti con se stesso, con ciò che si è lasciato alle spalle per diventare ciò che è e per comprendere ciò che invece avrebbe potuto diventare. Quei ricordi suscitati dallo Spettro sono la prima incrinatura nel ghiaccio del suo cuore: nel vedere se stesso in collegio, seduto a leggere su un banco, solo, povero e dimenticato, si mette a piangere. Il pianto è una delle espressioni più alte della sensibilità umana insieme a quel riso che, da molto tempo, non distende più le labbra irrigidite del vecchio spilorcio. Scrooge non sa piangere e chi non sa piangere non sa neanche ridere. Le lacrime spontanee che sgorgano finalmente dai suoi occhi incrinano il ghiaccio che imprigiona il suo cuore.
Lo Spettro dei Natali trascorsi emana una luce prodigiosa dal capo e Scrooge tenta invano, lottando, di spegnerla. Non è infatti ancora pronto ad accettare i propri errori e dovrà quindi incontrare lo Spettro del Natale presente e quello del Natale futuro. Quest’ultimo, il più orribile, nero e muto come la morte, gli indicherà il destino che lo attende: una tomba negletta e nessuno che si addolori per lui, anzi.

Un cuore di ghiaccio si scioglie

All’inizio del percorso di ravvedimento, Scrooge piange per se stesso, per il bambino infelice che era. Tuttavia, ciò comporta solo un’incrinatura nel ghiaccio che gli imprigiona il cuore. Sarà solo la compassione verso un altro bambino a comportare l’autentica presa di coscienza. Lo Spettro del Natale presente lo conduce nella casa modesta del suo impiegato, il mite Bob Cratchit.
Scrooge maltratta il suo dipendente, lo fa lavorare al freddo, non gli concede che un pezzetto di carbone per scaldarsi e lo retribuisce con una miseria. Non vorrebbe neppure lasciargli mezza giornata libera per festeggiare il Natale con la sua famiglia. Ed è appunto presso quella famiglia che lo Spettro lo porta, in una casa poverissima, ma calda di affetti e di rispetto dove l’invisibile Scrooge fa conoscenza con la moglie e i figli di Bob fra i quali c’è il piccolo Tim.
Tim è fragile, ha il torace serrato in un busto e cammina a stento con l’aiuto di una stampella. Dolcissimo, tenero e molto amato, il bambino forse non sopravviverà alla difficile vita che è costretto a condurre. Tim il punto centrale del racconto, colui che, senza saperlo, allarga la visione limitatissima di Scrooge e lo fa vergognare. Il bambino disabile è una di quelle creature che, secondo la teoria di Malthus, non hanno diritto di vivere perché inutili e perfino dispendiose per lo Stato. Ma chi dovrebbe decidere quali persone hanno diritto di vivere? Chi dovrebbe stabilire quali persone debbano morire? “Può darsi che, al cospetto del Cielo, tu sia inutile e meno adatto a vivere di milioni di creature come questo povero bambino” così lo Spettro rimprovera il vecchio avaro.
Il cuore di Scrooge si addolcisce nell’addolorarsi, poi si scioglie del tutto nella casa di suo nipote in cui penetra, ancora una volta invisibile, condotto dallo Spettro.
Le apparizioni notturne sono state annunciate a Scrooge dal fantasma del suo socio, il defunto Marley che trascina le catene forgiate in vita, fatte di casseforti e di chiavi, di libri mastri e di atti legali, di borse pesanti rivestite d’acciaio. Insieme ad altri infelicissimi fantasmi, Marley tenta inutilmente di aiutare la povera gente che si trascina per le strade. Ha perso la sua occasione e ora cerca almeno di salvare Scrooge. Da ciò ricaverà un po’ di pace? Non si sa, ma si può supporlo. Dickens non si accanisce contro i suoi personaggi, ma deplora i loro difetti, dà loro una possibilità di riscatto.

Una storia che parla ai cuori di oggi

Il racconto di Dickens è ambientato in un’epoca del tutto diversa dalla nostra, ma solo in un certo senso. La mentalità che ritiene i poveri inutili e la povertà una colpa è ancora presente. La ricchezza è un merito anche se conseguita con mezzi illeciti o attraverso lo sfruttamento delle persone. Si ammirano i ricchi per le catene d’oro che si sono forgiati; se gli affetti non si possono acquistare, si può comprare il potere, si può comprare la sottomissione. Dickens esorta a mantenere lo Spirito del Natale per tutto l’anno, a comprendere quali sono i valori cui affidarsi. Il mondo è infestato da tanti vecchi Scrooge cui purtroppo non appaiono gli Spettri della rinascita interiore: il loro cuore è diventato completamente di ghiaccio, non c’è carne là sotto. Tuttavia, esistono persone buone, compassionevoli, forse esiste una speranza.
Se la logica del consumo si è impadronita del Natale, il suo spirito aleggia ancora nelle case felici dove la Festa è stare insieme, amarsi.  Dove magari si gioca a tombola e si legge un racconto ad alta voce e ciò è infinitamente meglio di scambiarsi oggetti costosi e spesso inutili.
Il Canto di Natale fu pubblicato nel 1843 ed ebbe immediatamente un’enorme risonanza. Fu lodato dai critici che vi ravvisavano i topoi vittoriani del rilancio delle buone azioni e della solidarietà e divenne un classico, sempre letto e sempre riproposto. Eppure, non sempre Dickens fu apprezzato. Se in seguito Maksim Gorkij scrisse che l’autore era riuscito “nella difficile arte di amare gli uomini”, e Stefan Zweig affermò che Dickens aveva aumentato la gioia nel mondo, William Somerset Maugham ritenne che non fosse del tutto sincero e che il suo pathos non fosse genuino. Certo è che il racconto avvince e commuove ancora. Se non è possibile scrutare nell’intimo dello scrittore, guardando dentro di sé il lettore scorge una commozione autentica.
Scrooge non è “cattivo”, ma ignaro e perfino ingenuo. Ha coltivato il proprio egoismo calcolando quanto poteva ottenere in beni materiali, ma senza rendersi conto delle conseguenze. Ha giustificato il suo modo di vivere cercando le teorie che lo confermassero ed evitando di considerare altri punti di vista: un processo mentale molto umano, universale. Per paura di perdere qualcosa, ha rischiato di perdere tutto. Si è sottoposto a privazioni, ha sottoposto il suo prossimo a privazioni per ingrassare la cassaforte. è più facile amare il denaro, così freddo, e potente, che le persone bisognose, deludenti, spesso egoiste a loro volta, effimere, soggette alla malattia e alla morte. Egli odia il Natale per quello che rappresenta: ciò che è impossibile possedere, accumulare, rinchiudere; ovvero una felicità gratuita, un volgersi verso l’altro per sentirsi tutt’uno. Forse la sua figura triste e solitaria ha contribuito e contribuisce a promuovere un cambiamento nella vita di qualcuno che si è riconosciuto in lei. Lo Spettro del Natale futuro mostra a Scrooge e ai lettori il mondo della possibilità, le conseguenze della somma di azioni che si compiono nella vita.  Ciò che sarà non è prevedibile, ma la coscienza umana è dotata dell’intuizione profonda, cui spesso non si dà retta, del bene e del male. Sono ambedue possibilità dell’anima e si può scegliere: o l’una o l’altra. L’indifferenza fa parte del male. Non è sufficiente infatti non aver rubato, non aver ucciso, aver pensato ai fatti propri, per essere assolti. Bisogna dare senza aspettarsi ricompense. Se non che, la gioia che ne risulta, è il maggior premio che si possa ricevere.

Così una fiaba di Natale può accompagnare il lettore per tutto l’anno, per tutta la vita, molto più di un libello di denuncia, con una lezione d’amore. Le fiabe non registrano la realtà, ma raccontano il mondo del possibile attraverso immagini impossibili assolutamente reali. Il Canto di Natale si legge accanto all’albero addobbato, vicino al calore del camino, con una coperta sulle gambe, con lo sguardo rivolto all’Inghilterra vittoriana e alle sue miserie e, nello stesso tempo, al mondo contemporaneo, alle sue miserie, alle sue speranze.

Scopri tutti i nostri consigli di lettura per ravvivare lo spirito del Natale con Storie sotto l’albero. Perché la scuola si ferma per un po’… ma la lettura continua.

Autore

  • Paola Valente vive a Vicenza, ed ha insegnato nella Scuola Primaria. Ha scritto per Raffaello numerosi libri per ragazze e ragazzi, tra cui “La Maestra Tiramisù”, bestseller di collana, in più, tanti racconti dedicati alla Educazione alla Cittadinanza.

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