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La tragedia della Shoah raccontata ai ragazzi attraverso la memoria del bene

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Il romanzo di Paolo Mirti ispirato alla storia vera di Gino Bartali

Raccontare ai ragazzi la tragedia della Shoah non attraverso la radicalità del male, che pure ne rappresenta la vera essenza, ma piuttosto attraverso la memoria del bene che, sembra impossibile, fece capolino in alcuni luoghi anche in quei drammatici giorni. Perché se c’è stato qualcuno che grazie al proprio coraggio è stato capace di opporsi alle leggi del genocidio e dello sterminio di massa allora vuol dire che si poteva fare e che era possibile dire dei no.

Tra quei luoghi c’è sicuramente la città di Assisi dove grazie all’opera di un comitato clandestino coordinato dal Vescovo e formato da persone di diverse convinzioni religiose ed idee politiche, centinaia di rifugiati ebrei sono riusciti a scampare alla deportazione nei campi di concentramento nazista. Ed è proprio nella città di San Francesco che è ambientato Il campione e la bambina, il romanzo di Paolo Mirti ispirato ad una storia vera accaduta tra il 1943 ed il 1944.

Il campione citato nel titolo è Gino Bartali, fenomeno del ciclismo che all’epoca dei fatti era già vincitore di due Giri d’Italia e di un Tour de France. Un vero e proprio mito di una disciplina sportiva nella quale ad eccellere erano proprio i figli delle classi più umili, uomini che affidavano ai pedali la loro voglia di riscatto grazie ad un’antica abitudine alla sofferenza. È a Bartali che l’Arcivescovo di Firenze, il Cardinale Elia Dalla Costa, si rivolge nell’autunno del 1943 proponendogli una missione molto rischiosa: aiutare il comitato segreto trasportando, nascosti nel sellino della sua bicicletta, i documenti d’identità falsi di cittadini ebrei rifugiati tra l’Umbria e la Toscana per farli stampare in una tipografia clandestina assisana. Gino detestava, ampiamente ricambiato, Mussolini ed il fascismo per il culto della violenza, per la sistematica ingerenza da parte del regime nella vita delle persone e per la persecuzione contro gli ebrei. Non a caso uno dei suoi migliori amici, Giacomo Goldemberg, era proprio un ebreo. Bartali dopo la drammatica morte sui pedali del suo amato fratello minore Giulio per un incidente di corsa aveva maturato una sensibilità speciale per aiutare le persone in difficoltà “perché tutto il dolore del mondo ormai lo riguardava e lui sapeva riconoscerlo”. Per questo accettò di buon grado la proposta del Cardinale dalla Costa iniziando la corsa più difficile della sua vita e scegliendo come percorso di allenamento il tratto Firenze-Assisi che lui percorreva con la libertà nascosta nel sellino della sua bicicletta mettendo a rischio la propria vita.

La bambina è invece una tredicenne ebrea, Lea Vetrelli, figlia di un professore universitario di Padova espulso dall’insegnamento dopo le leggi razziali ed alla ricerca di un approdo sicuro per sé e per la propria famiglia. Lea è sempre più sconvolta per quella discesa agli inferi che è ormai diventata la sua vita e non riesce a dimenticare il dolore profondo provato per l’espulsione dalla scuola pubblica comunicatagli un mattino mentre giocava con le compagne attendendo il suono della campanella mentre la maestra, il preside ed un funzionario di polizia cominciavano la loro brutale conta: i non ebrei da una parte e gli ebrei dall’altra. La famiglia Vetrelli arriva ad Assisi ed entra in contatto con il comitato clandestino che procura loro i documenti falsi portati da Bartali ed indispensabili per ottenere un alloggio in affitto.

Il campione e la bambina nel romanzo non si incontrano mai eppure entrambi nel loro cammino riusciranno a sprigionare scintille di umanità e di coraggio capaci di illuminare quella notte così profonda per l’intera umanità.

E quando nella Piazza del Comune di un’Assisi finalmente liberata, sfilano gli alleati con i tedeschi in fuga, Lea sembra quasi fondersi in quell’abbraccio con la folla nel quale dopo tanto tempo torna a percepirsi come individuo e non come razza e dove il futuro gli appare una lunga teoria di balconi fioriti dai quali affacciarsi. Sente di essere maturata ma avverte anche che non è stata la saggezza a farla diventare grande ma piuttosto la necessità ineludibile di affrontare la sofferenza ed alla fine, visto quello che è stata costretta a lasciare per strada, pensa che forse avrebbe preferito rimanere bambina.

Gino invece da tutta questa esperienza crede di aver compreso qual è la sfida che lo appassiona di più: trasportare il suo grande talento di ciclista al di fuori dei pedali e metterlo al servizio di valori più elevati come la solidarietà e l’attenzione ai più deboli.

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